“A Duru sono rimaste solo le macerie della missione bruciata, gli scheletri delle 300 abitazioni distrutte dai ribelli dell’Lra ed è rimasto anche qualche anziano”: la voce di padre Mario Benedetti, missionario comboniano fino a qualche giorno fa in Congo, è rotta dall’amarezza poco prima di salire sull’aereo che da Kampala lo ha riportato oggi in Italia, a Milano prima, nella sua Segonzano in Trentino poi. Lui, che a 70 anni di età pensava di averle viste tutte, insieme ad altri due sacerdoti - il sudanese Peter Magalasi e l’italiano Ferruccio Gobbi - è stato costretto a lasciare la missione e il lavoro fatto per evitare conseguenze peggiori. “Alla fine – dice ancora - sono andato via per evitare che la mia presenza potesse mettere a rischio la sicurezza della gente che ancora vive lì; fosse stato solo per me sarei rimasto. Ma la situazione non è stabile, la gente si sente abbandonata dall’Onu e dal governo, quelli (i ribelli, ndr) hanno bruciato anche le scuole della nostra parrocchia portando via come ostaggi un centinaio di ragazzi”. Padre Mario, contrariamente ai suoi confratelli rimasti prigionieri per qualche ora, il giorno dell’attacco a Duru è riuscito a fuggire: “Ho approfittato di un momento di disattenzione e mentre i ribelli rovistavano nella nostra casa sono uscito fuori trascorrendo la notte nella foresta. Sentivo che mi cercavano, sono tornato il giorno dopo quando il villaggio era stato abbandonato”. Un ritorno reso amaro dall’immagine di una comunità ferita nel profondo e costretta a ricominciare da capo: “La maggior parte delle duemila persone che abitavano a Duru è fuggita, anche noi con un passaggio in moto alla fine ci siamo diretti verso la città di Yambio in Sud Sudan e quindi a Kampala in Uganda; i miei confratelli sono partiti per primi, io li ho seguiti in un secondo tempo”. Sull’appartenenza dei ribelli all’Lra, padre Benedetti non ha alcun dubbio: “Non sono sbandati che vivono nella foresta, sono inquadratissimi, motorizzati e ben armati. A Duru si sono presentati in un centinaio e sembrava ricevessero ordini da una donna che si era sistemata a circa trecento metri dall’abitato; probabilmente venivano dalla base che hanno creato due anni fa a 15 chilometri da Duru o da un’altra che si trova a 60 chilometri”. Per il missionario si tratta delle stesse persone che dal febbraio 2006 hanno scelto questo lembo estremo del territorio congolese per proteggersi meglio da eventuali attacchi dell’esercito ugandese nonostante ci sia un processo di pace in corso: “Quando sono arrivati nel 2006 – ricorda ancora padre Mario – non disturbavano la gente. Poi, subito dopo un attacco contro la nostra missione il 17 dicembre dello scorso anno, hanno cominciato a farsi più cattivi, a lanciare moniti e avvertimenti a chiunque incontrassero per strada, fino a queste ultime violenze”. Secondo padre Benedetti, nell’attacco contro Duru 15-20 persone potrebbero essere state uccise, alcune migliaia hanno lasciato la zona e - ripete poco prima di salire sul suo aereo - “c’è il dramma di questi cento ragazzi portati via dai ribelli e quello dei loro genitori che non sanno che fine abbiano fatto”. [GB]
Informazione ricevuta dal sito MISNA
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