giovedì 11 marzo 2010

Dungu ed LRA


Eccomi con padre Ernesto Castro dello Stato di Jalisco degli Stati Uniti del Messico. Da fine gennaio è tra noi, dopo tre anni passati alla periferia della capitale del Congo, Kinshasa. Ha ancora poca pratica della moto. Gesù si spostava a piedi come la gente povera di qui ma noi due vogliamo profittare della tecnica per arrivare prima e non troppo stanchi.


Sono tornato martedi alle 17h alla base (in città).

Tutto bene. Il casco e la visiera mi hanno protetto la faccia tra le erbe non bruciate della savana che sbattevano addosso. Quando la visiera era bagnata dalla pioggia ho dovuto alzarla e allora ho rischiato un po' agli occhi.

VIAGGIO A DUNGU:

Domenica 25 Aprile

Sono stato invitato da P. Sergio ad andare a Dungu per portare la moto che hanno ricevuto, e per riparare alcune pitture murali fatte nella chiesa di Bomokandi da P. Leon Coppens (che era un grande artista) che sono state rovinate da infiltrazioni d’acqua dal tetto.
Cosi giovedì dopo una mattinata di lavoro e non troppo in forma, sono partito per arrivare a Rungu come prima tappa del viaggio. Visto che da qualche giorno non piove, il fondo stradale è buono e ho viaggiato bene. A metà strada ho dovuto fermarmi per risistemare i bagagli e  rifare le legature che con i sobbalzi e i bruschi movimenti della moto si erano allentate. Sono ripartito, ma dopo qualche centinaio di metri avevo l’impressione di vedere strano: togliendo il casco avevo tolto gli occhiali, che non avevo poi rimesso e che erano caduti nell’erba. Mi sono messo a cercarli dove pensavo fossero caduti ma invano. Poi ho visto una ragazzina venire verso di me chiamandomi a gran voce e sventolando gli occhiali. Cercandoli nel posto sbagliato non li avrei mai trovati e continuare senza occhiali sarebbe stato complicato. Cosi sarei dovuto rientrare ad Isiro per prendere il paio di scorta, facendo  una novantina di chilometri per ritrovarmi allo stesso punto con almeno 4 ore di moto. Ho ringraziato di cuore la ragazzina che mi ha “salvato”. Prima di sera ero a Rungu e sono stato accolto calorosamente dalle “ragazze del Coe”. Ho avuto tempo di restare con P. Paolo e di controllare i lavori del tetto della scuola Angela Andriano del Coe e incontrare gli operai per qualche consiglio.
Venerdì mattina alle sei ho ripreso il viaggio, seguito in moto da Kaniki, infermiere dell’ospedale che andava nel villaggio di Babagù a 75 km per la campagna di vaccinazioni.
Visto la presenza di militari lungo il cammino si sentiva più sicuro in mia compagnia.
In effetti, a causa del rischio d’incursioni dei ribelli della LRA a partire da Rungu, in diversi villaggi ci sono gruppetti di soldati congolesi  (FARDC - Forces Armées de la Rep. Dém. du Congo) che dicono essere li per proteggere la gente, ma che la gente considera alla stregua dei ribelli stessi, visto che disturbano e prendono quello che vogliono. Noi non abbiamo avuto alcun problema. Solo nel villaggio di Rekase, entrando nella cosiddetta “Route Royale” non c’erano i militari ma i poliziotti che come al solito cercano di spillare soldi. Mi hanno bloccato per mezz’ora cercando mille pretesti per chiedermi soldi. Ho ceduto dando loro 500franchi congolesi (mezzo dollaro) che hanno subito tradotto in “araki” (distillato locale) per consolarsi. La “royale” fino a qualche anno fa era chiusa perché c’erano due ponti caduti e le piante erano cresciute in mezzo alla strada. Cercando una via alternativa per riuscire a salire a Babagù, e convinto che fosse la strada migliore della zona come fondo ( i belgi pensavo di fare la ferrovia per collegare il fiume Congo al fiume Nilo e per questo avevano pavimentato buona parte della strada con pietre), qualche anno fa l’avevo in parte riaperta con i miei operai rifacendo i ponti con tronchi e tagliando un’enorme quantità d’alberi. Ora è diventata la via ufficiale per i camion che dall’Uganda e dal Sudan scendono con rifornimenti per Isiro. Dopo Rekase c’è il villaggio di Lombia, che è stato creato dai cercatori d’oro e che è diventato un grosso villaggio. Visto le buone condizioni della strada ho potuto viaggiare spedito e arrivare a Dungu poco dopo l’una del pomeriggio. Per fare i 230 km. ho impiegato poco più di dieci ore, con una media elevata per le nostre strade. Già da ieri avevo un buon mal di testa e lo stress del viaggio ha fatto il resto cosi giunto a Dungu sono finito a letto con un attacco di malaria. Oggi domenica, comincio a stare meglio. P; Sergio rientra questa sera dal villaggio di Limai dove è andato in moto per la celebrazione domenicale e per incontri con i vari gruppi.


Bomokandi è un quartiere alla periferia ovest di Dungu. La parrocchia a noi confidata da quaranta e più anni, è dedicata alla “Madre di Dio” (Namboli in Kizande), dista dalla cattedrale sei chilometri, e comprende anche oltre una quarantina di cappelle verso nord e verso ovest. La bella chiesa ottagonale è un capolavoro artistico di fr. Santo, con all’interno diverse opere di P. Leon oltre che altare, tabernacolo, ambone e battistero in legno rosso scolpito dagli artisti di P. Leon. Ora ci sono solo P. Sergio come parroco e P. Ferruccio  che si interessa soprattutto alla missione di Duru e dei villaggi di questa missione abbandonata dopo le incursioni e i saccheggi dei ribelli della LRA presenti nella zona. Fino al mio arrivo avevano una sola moto a disposizione per le visite nei villaggi, essendo la land rover fuori uso da tempo. Per cui quando uno usciva nei villaggi l’altro non aveva alcun mezzo per muoversi o per andare al centro. Anche se Bomokandi é vicinissimo alla città (e nonostante la presenza delle forze dell’ONU e dei nostri soldati del Congo), ci sono state incursioni dei ribelli e la gente non si sente sicura.
Sergio e  Ferruccio hanno dato ospitalità nei locali annessi alla parrocchia a delle mamme con bambini scappate dai villaggi a maggior rischio.
Ho incontrato delle mamme a cui è stato rapito il marito o dei figli, di cui non hanno più notizie.
Nel 2008 quando hanno iniziato i loro sanguinari saccheggi e i massacri, lo facevano in gruppi numerosi, ma da quando i caccia ugandesi hanno tentato di bombardare i campi dei ribelli senza riuscirci, questi ultimi si sono divisi in piccoli gruppi ben coordinati attraverso contatti con telefoni satellitari e fanno le loro devastanti incursioni nei villaggi all’improvviso.
Nell’ultima incursione di tre giorni fa nella zona di Niangara, tre adulti sono stati uccisi e a una ragazza di dodici anni hanno tagliato e asportato completamente con la lametta le labbra e un orecchio, sfigurandola e traumatizzandola per il resto della vita.
La gente non si muove dai villaggi o dalla città perché ha paura. Non coltivano più i campi perché i campi sono lontani anche dieci chilometri dai centri abitati e sono quindi facile preda di questi sciacalli.
Ferruccio e Sergio mi hanno raccontato molto sulle vittime dei ribelli, dei più di mille ragazzi e ragazze rapiti alle famiglie, di chi è riuscito a scappare, di chi è rimasto mutilato, di chi è stato freddamente e diabolicamente trucidato. Ho rabbrividito nel vedere foto di volti e corpi rovinati, e mi sono posto un bel po’ di domande su questa incredibile e traumatica situazione.
Chi ci “sguazza” in tutto questo sono le ONG e anche la Monuc (forze dell’Onu) che hanno trovato una miniera per fare più i loro interessi che quelli reali della gente.
Infondo anche la gente che ci lavora con loro ha possibilità di avere alti guadagni, ma la loro presenza rischia di fare degli Azande della zona, un popolo di mendicanti.
Qualche esempio: una ONG ha portato circa 4000 pulcini di razza europea per farli crescere e  distribuirli tra la gente per sollecitarne allevamento, non tenendo conto che quella razza non è adatta a questi climi. C’è quindi una moria continua di pulcini. Quanto sono costati? quanto è costato il trasporto? Quanto costa l’allevarli? E quanto ci mangia su l’ONG????
Un’altra ha fatto dei cessi per la gente utilizzando un centinaio di sacchi di cemento, oltre che a un bel numero di operai lautamente pagati. A calcoli fatti con la stessa quantità di cemento avremo fatto un’intera scuola elementare. Con Sergio, conoscendo approssimativamente il loro modo di agire, abbiamo calcolato che un loro progetto, a noi costerebbe la bellezza di circa 20 e più volte di meno. Loro devono mantenere tutto l’apparato, noi cerchiamo di lavorare con e per la gente tenendo conto della cultura e dell’ambiente.
Se chi è impiegato da loro ci guadagna bene (anche se questo è limitato al tempo di emergenza) chi è povero si impoverisce ancora di più; perché i piccoli e grandi commercianti sapendo che ci sono soldi in circolazione, quadruplicano i prezzi delle cose.
Conclusione: le ONG se da un lato aiutano nell’emergenza, fanno anche dei danni seri e infondo fanno anche i loro interessi.


Un’altra cosa mi ha scandalizzato su questo tema: recentemente sono arrivati grossi quantitativi di libri per le scuole elementari, sia per Isiro sia nella zona di Dungu, e lo stato che li ha ricevuti (non so da quale organismo), ha voluto distribuirli. Ma presa visione della cosa i vescovi e le coordinazioni diocesane si sono opposte, perché nei libri c’erano diverse pagine dedicate alla prevenzione dell’HIV con le spiegazioni dettagliate sul uso del preservativo. P; Sergio mi ha detto che con i testi avrebbero distribuito anche i preservativi per i bambini. Come dire “ anche se siete piccoli fatelo anche voi, ma usate quest’aggeggio”…

Mercoledì 28 Aprile

Questa mattina  ho terminato il lavoro di restauro in chiesa per i dipinti rovinati dalle piogge: il primo rappresenta “il Signore con i discepoli di Emmaus” e il secondo “il battesimo dell’ eunuco da parte di Filippo” e poi “la Crocifissione “ nel salone parrocchiale. Il lavoro è ben riuscito.
Purtroppo questa ultima opera non è destinata a durare perché è fatta su una base di intonaco alla congolese, cioè fatto con sabbia e fango e con molto poco cemento, per cui le termiti ci fanno facilmente i loro nidi che distruggono le pareti.
Ho preso contatti con un motociclista per farmi riportare a Isiro domani, ma P. Sergio si è opposto visto che ho ancora strascichi dopo la recente malaria e mi farà partire in aereo alla prima occasione, forse venerdi.

Nel pomeriggio siamo andati in moto a visitare l’aeroporto che la Monuc ha costruito per suo uso. Si trova a dieci chilometri sulla strada per Duru. Hanno fatto una pista di 2km; in terra battuta che puo’ servire anche per aerei di grossa stazza e con piazzali per elicotteri.
E’ in mano ai soldati marocchini che sorvegliano, mentre quelli filippini hanno il compito della logistica e della manutenzione delle strade e piste. Grandi mezzi:camion, ruspe rulli compressori, automezzi di tutti i tipi, elicotteri, gruppi generatori (italiani) da 250KVA, officine, containers adibiti ad abitazioni con aria condizionata e luce giorno e notte, cucine, sale mensa e via dicendo. Ci sono dei congolesi che lavorano per loro e che sono ben pagati.
Non avevamo ancora terminato la nostra visita che abbiamo dovuto rientrare in fretta perché il cielo si era fatto pesante e minaccioso.
Eravamo quasi arrivati a casa quando cominciavano a cadere le prime gocce, cosi Sergio per far prima ha attraversato il campo militare delle FARDC che è dietro alla parrocchia…poche rapide immagini e sono rimasto schoccato…che desolazione!!! C’erano capanne fatte con frasche di palma che certamente non proteggevano più di tanto dalla forte pioggia dei temporali. Niente tende, niente luce, tre sassi e una pentola per ogni famiglia per cucinare.
Giungiamo a casa, protetti, mentre si scarica un violento temporale. Rivedo le immagini di questi nostri soldati delle loro moglie e bambini sotto le  precarie capanne a prendersi l’acqua, e rivedo le grandi possibilità della Monuc, che contrasto, che sberla per la RDC !!!
Anche se so che non è giusto quello che i nostri spesso fanno alla gente per riuscire a “sbarcare il lunario” non mi sento di condannarli, sono vittime anche loro, anche se hanno tra le mani i vecchi e sgangherati Kalashnikov.

Discorso a parte va fatto per i soldati regolari ugandesi che sono presenti sul territorio, ma poco visibili. Sono stati inviati da Kampala ben equipaggiati e motivati per scovare i ribelli del LRA. Una delle loro basi era a Duru, ma ora hanno lascito il posto alla Monuc mentre loro si spostano sulle tracce dei ribelli. Sono capaci ed efficaci, gli unici che contrastino realmente i ribelli. Sembra che abbiano l’ordine di prendere Kony vivo e hanno un premio di mille dollari per ogni ribelle del LRA che prendono vivo. Si è venuto a sapere che nei giorni scorsi ci deve essere stato uno scontro tra i soldati ugandesi e i nostri. Da quanto si dice gli ugandesi si prendono beffe dell’incapacità e povertà delle FARDC che offesi reagiscono.

Giovedì 29 Aprile

Che sorpresa: Stavo seduto sui gradini di casa quando è passato uno dei nostri soldati di ritorno da chissà quale battuta, con tanto di elmetto schiacciato sulle orecchie e ben armato, con legato a una corda un ribelle prigioniero di guerra, che lo seguiva tranquillamente e docilmente prendendo a morsi un mango. La scena meritava una foto che ho preferito non fare per non irritare il soldato perché il prigioniero in questione era un bel babbuino.
Ho fatto ancora qualche lavoretto per sistemare parti dell’intonaco della chiesa che si erano scrostati.

Ancora con Sergio nel pomeriggio abbiamo fatto una visita al campo base dei vari organismi legati all’ONU (Fao, Unicef, Alto commissariato per i rifugiati ecc..), vicino alla base militare. Anche qui risalta la qualità di vita e di logistica, con caratteristiche anche maggiori di quelle viste all’aeroporto. Siamo accompagnati da Bienvenu, ufficiale guardia di sicurezza, che ci spiega come funzionano gli organismi e che azione fanno. Un dirigente (anche congolese) di questi organismi spende quasi 50$ dollari giornalieri per vitto e alloggio, il che fa supporre che sia molto alto il salario che riceve nelle banche del suo paese e in parte in loco. Ripenso ancora alla situazione dei nostri soldati congolesi, che dovrebbero ricevere 40dollari al mese, salario che spesso e volentieri finisce nelle tasche dei loro superiori, e a loro giungono le briciole.
Il solito temporale quotidiano ci obbliga a restare con Bienvenu per oltre un’ora. Nel campo  c’è grande fermento perché sabato dovrebbe arrivare il sottosegretario dell’ONU Holm in visita ufficiale, con uno scodazzo di una decina di giornalisti di varie emittenti televisive.

Venerdì 30 aprile

Tre ufficiali della Monuc con alcuni dei loro soldati rimasti in disparte, sono venuti a Bomokandi per renderci visita. Due erano marocchini e l’ultimo inviato come ispettore dall’Europa era inglese. Hanno posto a Sergio e a Ferruccio un sacco di domande sulla popolazione,sui rapporti nostri e della gente con la Monuc e sui ribelli e le loro azioni infami…Mi hanno dato l’impressione di non essere al corrente di molte cose. Vivono nel loro “bozzolo dorato” con distacco dalla gente e dai loro problemi. Sergio ha parlato chiaro dicendo che la Monuc è più interessata al futuro del Sud Sudan che ai ribelli, e che c’è dietro lo zampino delle grandi potenze, Inghilterra inclusa…tanto per stuzzicare le reazioni dell’ufficiale, che non si sono fatte attendere. Tutto sommato l’incontro è stato cordiale e schietto. Penso che siano i preliminari per la visita del sottosegretario dell’ONU di domani.
Per me il suo arrivo è una chance, perché il pilota di ASF (Avion sans frontières) deve scendere a Isiro per prendere lo scodazzo di giornalisti, cosi posso partire.
 
A fine mattinata ho avuto un incontro con Dido, un ragazzo quindicenne che è stato nove mesi prigioniero dei ribelli che volevano ridurlo ad essere uno di loro. E’ riuscito a scappare e salvarsi. La sua testimonianza la scriverò a parte.
Ferruccio è partito per il villaggio di Kiliwa a quaranta km a nord in zona critica, per fare apostolato e celebrare la domenica con la gente del luogo. Rientrerà lunedì se tutto va bene.
 
Sabato 1 maggio
 
Festa del lavoro, ma qui tutti sono stati all’opera…. Questa mattina, al mercato vicino alla parrocchia, c’era molta gente, ma in seguito a un falso allarme c’è stato un fuggi fuggi generale e il mercato si è svuotato subito. Tutto sembra calmo ma basta poco per mettere la gente in agitazione.
La presenza serena e solidale di Sergio e Ferruccio rassicura e rincuora la gente. Del resto le attività della parrocchia continuano regolarmente sia al centro che nei villaggi. La partecipazione dei cristiani alle celebrazioni e agli incontri è più forte che nel passato.
Per me niente volo perché l’aereo è andato a fare un servizio a Niangara e poi da li scenderà a Isiro. Mi hanno promesso che il volo sarà domani.
 
Domenica 2 maggio
 
Rieccomi a Isiro. Questa mattina pioveva e il volo che doveva essere alle 7,30 è stato rimandato di ora in ora fino alle 11. Quando sono partito Sergio stava celebrando la Messa, cosi ho preso la sua moto, caricato i bagagli e sono partito solo all’aeroporto. Lui poi avrebbe recuperato la moto presso l’incaricato appena possibile.
Per Avion Sans Frontières è arrivato un aereo nuovo, un “grand caravan” da 12 posti, e anche i piloti canadesi si stanno dando il cambio. Il “vecchio” pilota del Quebec (che ora lascia il posto a un giovane che parla solo inglese) é simpatico e alla mano. Ci ha dato le istruzioni su come comportarci in caso di problemi di volo, dicendoci anche: “Guardate nella tasca del sedile davanti a voi. Il sacchetto che c’è li potrebbe servirvi per la pipì in caso di bisogno, visto che i finestrini sono a chiusura stagna…”
Il volo di tre quarti d’ora è stato gradevole e me lo sono goduto anche perché potevo seguire sia le zone sorvolate sia la “planche” dei strumenti di bordo. A mezzogiorno atterravamo a Isiro. Poi ho trovato un canadese protestante che è stato cosi gentile da portarmi fino a casa.



Intervista a  un ragazzino riuscito a scappare dagli artigli dei ribelli del LRA

La settimana scorsa ho avuto l’occasione di rendermi a Dungu, verso la frontiera con il Sudan, per portare ai nostri due confratelli P. Sergio e P. Ferruccio una moto, che è l’unico mezzo di cui possono servirsi per visitare i villaggi che fanno parte della parrocchia, e per eseguire alcuni lavori. I villaggi del vasto territorio  di Dungu, Faradje e Doruma, da oltre due anni sono teatro delle sanguinarie e violente incursioni dei ribelli Ugandesi della LRA, che uccidono, mutilano, violentano,  saccheggiano, e si portano via la gente soprattutto ragazzini ragazze e donne. Molti di loro sono stati uccisi. I ragazzi schiavizzati, piano piano vengono indottrinati e obbligati a diventare dei ribelli pronti a uccidere. Le ragazze e le giovani mamme, sono forzate ad essere le loro donne e sono rese schiave delle loro voglie. Dalle stime fatte il numero dei rapiti è probabilmente superiore al migliaio.
Le forze della Monuc (ONU) e delle FARDC (force armate regolari della RDC) non riescono ad far fronte alla ferocia dei ribelli, che ora attaccano all’improvviso a piccoli gruppi seminando panico e terrore. Solo i soldati ugandesi, ben motivati e preparati riescono a volte a stanarli e avere il sopravvento.
Nel nostro quartiere vive Dido, un ragazzino che è stato lungamente prigioniero delle LRA che l’hanno rapito quando aveva poco più di tredici anni. Ho visitato la sua famiglia e gli ho chiesto di raccontarmi quello che ha vissuto.


Dido parlami un po’ di te:

Mi chiamo Mbolihundo Dieudonné Gemiko, in famiglia e gli amici mi chiamano Dido, ho quindici anni, e abito qui nel quartiere Bomokandi di Dungu a 500metri dalla parrocchia.
Mio padre abita a Kaka a una ventina di Km da qui, e anch’io fino a due anni fa stavo con lui.
Andavo a scuola li nel villaggio.

Raccontami come sei stato rapito,  assieme a chi e dove vi hanno portato.

Non ricordo bene che giorno fosse. Quel giorno come tutti i giorni sono stato a scuola poi a casa per aiutare mio padre nei lavori. Era notte e stavo dormendo nella mia capanna quando i ribelli hanno sfondato la porta e hanno fatto irruzione.  Svegliato di soprassalto ho visto che era meglio non reagire. Erano in tre, mi hanno preso e portato via e poi legato con una solida corda ai fianchi, me hanno caricato con un pesante sacco di manioca, e mi hanno intimato di camminare. Sono stato l’unico rapito quella notte nel mio villaggio, ma lungo la strada, si sono uniti a noi altri due ribelli con altri due ragazzi rapiti, anche loro portavano pesanti sacchi di farina di manioca, riso ed altro. I sacchi erano veramente pesanti e facevamo fatica a camminare, ma loro di bastonavano. In un villaggio sotto i nostri occhi hanno rapito anche una giovane mamma che teneva il bambino piccolo in braccio. Gli hanno strappato il piccole e lo hanno gettato su un mucchio di arachidi, trascinando con loro la mamma disperata. So che questa donna poi si è salvata e lasciata libera a Bangadi. Ha camminato con noi carica di cose. Poi sono giunti anche altri ribelli con altri tre ragazzi. Uno di questi tre  ha cercato di reagire e fuggire; ma non ci è riuscito. Lo hanno legato e bastonato fino ad ucciderlo sotto i nostri occhi.
Eravamo spaventati e confusi.
Abbiamo camminato molto, tutta la notte fino all’alba,  in savana e foresta, finché stremati ci hanno dato la possibilità di dormire un po’ sempre ben legati tra noi. Non sapevamo dove ne dove eravamo ne dove eravamo diretti.

Come vivevate assieme ai ribelli e come eravate trattati?

Con i ribelli che rientravano dalle loro incursioni arrivavano nuovi ragazzi, ragazze e donne rapite. Eravamo molti, oltre una cinquantina, mentre i ribelli erano molto numerosi. Eravamo trattati male; spesso venivamo bastonati e non ci davano che pochissimo da mangiare, tanto che soffrivamo per la fame.  Ci spostavamo in continuazione con faticose marce e carichi di sacchi di cose. La notte dormivamo all’aperto legati, anche se pioveva, mentre loro dormivano riparati in tende fatte con teloni. Alcuni di loro montavano la guardia a turno.
Abbiamo preso tanta acqua durante le notti e i giorni di pioggia. Ho avuto fortuna perché nonostante le intemperie e la dura vita non mi sono ammalato. Solo una volta un forte mal di stomaco.

Quanto tempo è durata la tua prigionia?

Sono rimasto loro prigioniero per nove mesi, e il nostro lavoro era camminare e portare i pesanti carichi durante i continui spostamenti. Parlavamo in Lingala, perché tra di loro c’erano dei congolesi che potevano seguire i nostri discorsi e quindi sapere se preparassimo la fuga. Ci era stato proibito di parlare tra di noi nella  lingua Azande che loro non comprendevano. Nelle nostre marce non mi rendevo conto dove eravamo diretti, perché si camminava sempre in foresta o in savana lontano dai villaggi.

Hai avuto occasione di vedere il loro capo Kony?

Dopo tre mesi di spostamenti e brevi soste siamo giunti dove Kony era accampato con i suoi uomini. Credo che eravamo in Centrafrica. Assieme agli altri ragazzi prigionieri sono rimasto in questo campo quattro mesi. Le ragazze erano obbligate a diventare le donne dei ribelli, che erano violenti perché fumavano droghe e prendevano bevande fortemente alcoliche rubate nei loro saccheggi. . Anche Kony aveva molte donne, alcune congolesi. Poi con un gruppo abbastanza grosso, ci siamo spostati nel Darfur.

Immagino che passando il tempo il controllo su di voi fosse meno rigido e forse eravate trattati un po’ meglio, e che questo abbia favorito la tua fuga.

Negli ultimi mesi i ribelli, pur trattandoci male, hanno cominciato ad avere più fiducia in noi e a darci in mano il fucile. Mi hanno addestrato a usarlo, ma non ho mai sparato sulle persone a parte il giorno della fuga. Non partecipavamo alle loro incursione, ma ero presente  e ho visto uccidere da loro cinque persone. Un giorno al mattino, assieme a due ragazzi sudanesi prigionieri, abbiamo lavorato per rifornire d’acqua l’accampamento. Eravamo affamati e ci aspettavamo di poter prima mangiare qualcosa, ma non ci è stato dato niente. Già da giorni covavamo rabbia. In noi tre è scattata la decisione di reagire e abbiamo imbracciato i fucili e sparato sui ribelli che presi alla sprovvista e non avendo realizzato da dove venisse l’attacco, hanno pensato che fossimo soldati ugandesi e c’è stato un fuggi fuggi. Alcuni pero’hanno reagito sparando verso di noi che a nostra volta prendevamo la via della fuga.
Sono stato colpito al ginocchio, e sono caduto. Siamo riusciti a nasconderci e a non farci trovare. Siamo stati fortunati perché nei dintorni c’erano soldati regolari Ugandesi che richiamati dagli spari sono intervenuti, ci hanno preso e portati in salvo.

Come vi hanno trattato i soldati ugandesi e come sei riuscito a rientrare in famiglia?

Ci hanno interrogato a lungo e poi con i loro mezzi ci hanno portato a Eso (Sudan), poi a Nzara, Yambio e infine a Juba. Da Juba lasciato i miei compagni fui poi trasportato a Kampala (Uganda) e poi a Karthoum (Sudan), dove fui ricoverato e operato alla gamba. Ho passato cinque mesi in Ospedale, e sono stato trattato bene. Poi mi hanno riportato a casa qui a Dungu. I miei genitori continuano a ringraziare Dio perché sono ritornato. Avevano quasi perso la speranza di rivedermi.

Cosa pensi dei ribelli LRA?

Dido tace, preferisce cercare di dimenticare e ricominciare, anche se non sarà facile.

Fr. Duilio




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